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ASSOCIAZIONE GUASTALLESE DI STOR

ASSOCIAZIONE GUASTALLESE
DI STORIA PATRIA
1933



TRADIZIONE STORIOGRAFICA



Guastalla è terra di storiografi e di storiografia. Non solo quindi terra per la storiografia, intesa come possibile oggetto di studio in ragione dei trascorsi storici e dinastici, artistici e sociali, e quali e quanti si vogliano considerare. Terra di storiografi vuole invece significare che qui non ci si trova in una località nella quale solo tardi, solo per ragioni municipalistiche o di erudizione locale si sia dato corso a scrivere di storia. Ugualmente, non ci troviamo di fronte al pur frequente ed interessante fenomeno della cronachistica, più o meno acculturata che fosse, per la quale a maggior ragione vale la difficoltà, comune a certa storiografia, di prevedere “la coesistenza tra storia generale (o universale) e storia particolare, ma anche tra una storia organica di una città e una rapsodica raccolta di memorie” (G. Tocci). Esiste quindi una continuità significativa nel costruire la memoria della Storia, che mira a superare la contraddizione detta, e che prende le mosse ancora prima rispetto al momento fondante dell’idea di Guastalla come Stato, ossia prima dell’inizio della signoria gonzaghesca con Ferrante I. Se poniamo attenzione alle ‘storie’ che circa la figura di questo signore sono state pubblicate, e quando sono state pubblicate, notiamo come inizi dal 1535 una corrente, strettamente dinastica, certo, che in breve tempo però declinerà sempre più verso una maggiore ed ampia percezione della dinastia allargata e poi dello Stato. Non avrebbe potuto che essere così, ovviamente, trattandosi di definire il momento propulsore di una storia durata 207 anni, e della quale ancora si è fortemente tributari.
Tuttavia già alla fine del XVI secolo inizia il processo per cui l’interazione tra intellettuale e quasi – sovrano (tale senza ‘quasi’ dal 1621) vede realizzare un’opera che definisce un contesto più ampio rispetto a quello della dinastia, evidente già nel titolo “Storia di Guastalla”. Si tratta di Bernardino Baldi, 1553 – 1617, illustre studioso e poliglotta, abate di Guastalla, e di Ferrante II. La storia di Guastalla che questi scrisse, già con spirito erudito di ricercatore documentario (e non consideriamo in questa sede le presunte difficoltà di accesso all’Archivio Gonzaga), è stata considerata perduta per molto tempo, in quanto la si riteneva naufragata nel trasporto dei documenti Albani, tra i quali era finita, quando furono venduti negli Stati Uniti (sostenitore di tale tesi fu Aldo Cerlini). In ragione di questa presunta perdita è riuscito difficile sino ad ora inquadrarne compiutamente portata e significati, quali fossero quelli che il Baldi avesse voluto conferirle. Infatti, per quanto ci sia nota l’esistenza di un “Baldi riassunto” (ancora secondo Aldo Cerlini, ne era in possesso Aldo Mossina), anche di questo non se ne conosce la fine. Quindi sino ad ora è stato necessario rifarsi all’utilizzo e accenni tramandatici da Affò. Ci sarebbe poi bastato ragionare sulle modalità che portarono alla interazione detta, tra sovrano ed erudito, al significato che ebbe il portarla dal campo letterario a quello più strettamente storiografico. Ugualmente, sarebbe stato opportuno e bastevole considerare la vicenda ‘riassuntiva’ di questa storia come paradigma della progressiva diffusione della conoscenza ‘scientifica’ della storia. Fu solo una redazione, furono in maggior numero ma se ne è perduta la memoria, quale ambiente intellettuale verté su Guastalla negli anni più tranquilli della vicenda sovrana di Ferrante II, storiograficamente parlando, che il cotê letterario è noto? (altra cosa saranno gli anni della lotta per la successione in Mantova). Insomma, si accenna solamente ad alcuni interrogativi che la storia del Baldi aveva suscitato, ed attorno ai quali si poteva ragionare al condizionale. Ora tuttavia, grazie ad uno di quei casi che a volte capitanto anche nelle situazioni date assodate per perse, lo scenario è completamente ribaltato. È notizia di questi giorni il ritrovamento di un manoscritto nel quale è contenuta anche la redazione della “Storia di Guastalla” del Baldi, anzi, della “Historia di Guastalla”. Che dire al momento, se non della constatazione che sarà possibile riaprire il dibattito intorno al divenire storiografico in Guastalla e di Guastalla?
Anche per il fatto che se dobbiamo attendere ben il 1674 per vedere un’opera storiografica pubblicata, la “Storia di Guastalla” del padre servita G. B. Benamati, è difficilmente credibile che tanto tempo fosse trascorso senza che qui ci si interessasse di storia. Ne sia indizio l’edizione che questi diede del diploma matildico col quale, nel 1101 “La contessa Matilde concede privilegi alla Pieve e al clero di Guastalla”. Ireneo Affò, nell’emendarlo dagli errori del Benamati, pubblicandolo in “Antichità e pregi della Chiesa Guastallese” nel 1774 (giusto un secolo più tardi), descrisse le vicende di successive e varie copie della pergamena, il che nel merito attiene più alla diplomatica. Ma a noi interessa piuttosto rilevare, deducendolo dalle righe del famoso francescano, che nel torno di tempo dal Baldi al Benamati le ricerche erudite sui più antichi documenti guastallesi non mancarono, certamente nella corrente avviata, già dalla fine del XVI secolo, dai Bollandisti e dal loro metodo critico (sarebbe interessante rilevare se e quale conoscenza potesse averne avuto il Baldi agli albori di quella ciclopica opera). Quindi, se il Benamati pubblicato e la revisione critica alla sua opera ci forniscono tracce storiografiche di rilievo, è altrettanto vero che il Benamati inedito potrebbe riservare interessanti sorprese. Quest’opera, un ms. intitolato “Memorie del convento dei Servi nella città di Guastalla”, non deve essere vista riduttivamente come una semplice cronaca del Convento, in quanto proprio l’Affò, mai tenero con l’opera di chi gli fosse tornato utile, scrisse “Se il premuroso scrittore non avesse avuto troppa fretta di stampare quell’opera, noi l’avremmo certo più compita, o meno imperfetta. Fa di ciò testimonio il voluminoso suo manoscritto, conservato nell’archivio de’ padri Serviti di Guastalla, ove molte altre cose notate si leggono, che nella storia molto avanti stampata non sono”. Siano quindi di fronte ad un percorso storiografico articolato, e la fretta del Benamati nel dare ai torchi la sua opera si può giustificare con lo stato di salute del duca allora regnate, Ferrante III, che sarebbe morto nel 1678. Autorevolmente è stato ritenuto che tale opera significasse e segnasse una sorta di rivendicazione municipale locale a fronte della prospettata unione tra Guastalla e Mantova, che si sarebbe realizzata mercé le avvenute nozze tra Anna Isabella figlia maggiore di Ferrante III e Ferdinando Carlo allora giovane duca di Mantova. Tuttavia riesce difficile leggere in questi termini il disegno del Benamati, in quanto la situazione dinastico – successoria tra 1678 ed anni seguenti sarebbe stata tutt’altro che chiara, soggetta a molteplici scenari evolutivi, agitata da varie, contrapposte e plausibili soluzioni, in una parola, era fluida, e conosciuta per tale sin dal 1671 di quelle nozze. Anche in questo senso, quindi, sono possibili ripensamenti e nuove letture.
Parallelamente al Benamati scrisse don Francesco Battaglia, il cui ms. fu visto dall’Affò presso il canonico don Benedetto Ghisolfi, con una qualità di notizie (e correttezza testuale riferita al diploma del 1101) anche maggiore rispetto alla lezione del religioso Servita.
Sarebbe interessante poter ricostruire il clima competitivo che allora dovette accendere il confronto tra chi, in Guastalla, si occupava dei passi, non però i primi, inerenti la memoria di un ducato ormai condecorato, come si diceva, da matrimoni tra sovrani e trattamenti di Altezze Serenissime. Questo a significare che per tutto il XVII secolo siamo in presenza di una trama storiografica (che attenderebbe di essere meglio scritta, una storia della storiografia di e in Guastalla) antitetica rispetto all’idea dell’esito eccellente ma soggettivamente e temporalmente definito. Esiste invece un continuum, diffuso negli scrittori e partecipato negli eruditi, la cui tessitura dovrebbe essere recuperata da ben indirizzate ricerche archivistiche.
Non a caso si può parlare di tessitura, in quanto è proprio la trama stretta dei rapporti della e nella societas degli eruditi che caratterizza il passaggio culturale tra ‘600 e ‘700 in Guastalla. Sono tre le accademie che in relativamente breve lasso di tempo si succedono (Inesperti, Oziosi, Sconosciuti), la terza più duratura, ricondotte però, nella percezione di chi ne abbia esaminato le vicende, al dato strettamente letterario, evidenziando il mutamento dell’ultima, verso la fine della propria attività, in una sorta di provinciale consesso degli epigoni di un mondo ormai al tramonto.
Considerando chi vi abbia avuto parte, di quali esperienze e conoscenze sia stato portatore, di quali rapporti vi abbia disegnato, è da credere sia una percezione che debba essere ampliata, almeno in riferimento alla seconda e terza.
Il 1696 vede quindi la costituzione dell’Accademia degli Oziosi nel palazzo del conte Marcantonio Torresini. Si tenga conto del fatto che questa famiglia rappresentò con accreditamento diplomatico, non quindi semplici agenti, per ben 108 anni i Gonzaga di Guastalla alla Corte di Vienna, e Marcantonio fu anche primo Ministro e Segretario di Stato (cioè ministro degli esteri) dei duchi di Guastalla. Le relazioni, le conoscenze, l’esperienza che un soggetto del genere (vero nume tutelare dell’accademia, al di là del patrocinio del principe ereditario Antonio Ferdinando) ebbe modo di conseguire non furono certo di poco conto, proiettando verso scenari europei le relazioni che in quell’ambiente accademico si intrecciarono.
Tuttavia di maggiore puntualità in ordine a questa ricognizione circa la storiografia guastallese deve essere accreditata la nascita dell’Accademia degli Sconosciuti, nel 1726, nella quale ebbero parte preponderante la figura e l’attività di Alessandro Pegolotti. Senza soffermarsi su questo letterato poliedrico, politico, amministratore, diplomatico, che meriterebbe studi approfonditi, quanto piuttosto sulla rete di relazioni intellettuali che attraverso l’accademia tessé con personaggi della portata di Apostolo Zeno, Crescimbeni, Martelli, Baruffaldi, Orsi, Magliabechi, Arici, e questa è storia nota, e dovuta, dato che il sistema – Arcadia comportava che le relazioni tra intellettuali fossero ampie e continue. Soprattutto per quanto riguarda queste considerazioni sono da notare Scipione Maffei e L. A. Muratori, massimi tra i diplomatisti e gli storici del tempo.
Ecco allora che il cotê storiografico ancora una volta emerge con grande rilevanza, e se del Pegolotti sono note per lo più le produzioni poetiche non per tale motivo è da sottovalutare quanto la componente delle conoscenze storiche dovette in generale accompagnarlo, ed in particolare in uno degli incarichi svolti in torno di tempo, ossia quello di segretario del Dispaccio ai principi d’Italia conferitogli da Ferdinando Carlo duca di Mantova. Sebbene la diplomazia mantovana non brillasse per acume in quegli anni, è altrettanto vero che non sarebbe stato possibile organizzare un così rilevante servizio di Stato senza una approfondita conoscenza di quanto, politicamente e dinasticamente si muovesse e si fosse mosso nel composito panorama dei principati italiani del tempo, e antecedenti. E come acquisire una tale conoscenza, se non attraverso l’applicazione di sani e coerenti principi storiografici? Quindi ognuno vede come il sistema culturale guastallese della prima metà del XVIII secolo, certamente in attesa della grande ma anche controversa e controvertibile lezione di Ireneo Affò, non mancasse, storiograficamente, di quel tessuto a fitta trama di cui si è detto.
Riprova ne sia che a far da tramite tra quel momento e la seconda metà del secolo fu proprio quel Giuseppe Maria Negri, canonico, al quale è dovuta una “Storia di Guastalla” tra le più significative, tale anche se inedita e quasi misconosciuta. Tramite in quanto dall’ambiente accademico di Mantova (Accademia dei Timidi) passò a quello di Guastalla, agli Sconosciuti, e col declinare di questa, ed accentrarsi delle iniziative culturali locali nella figura dell’Affò, fu colui che non solo indusse questi alla storia di Guastalla, fu colui che non solo gli somministrò lumi (intellettuali) e carte, bensì fu colui che, col proprio ms., gli fornì una falsariga ampiamente documentata e criticamente vagliata, non certo solamente quel “ben ordinato volume di memorie della sua patria” come sostenne poi l’Affò.
Entrare nel merito di quanto Ireneo Affò abbia scritto sul versante della storiografia richiederebbe un convegno di studi ad hoc (che in quello in occasione del bicentenario della morte si affrontarono molteplici connotati dello studioso), ed anche se si guardasse alla sola produzione ‘gonzaghesca’ non sarebbe possibile risolvere l’ampiezza di temi e soggetti trattati se non facendovi convergere il risultato di più ricerche. Quindi sarebbe fuori luogo e non producente trattarne in questa sede.
Quanto piuttosto possa essere rilevato in questo breve inquadramento della storiografia guastallese non può che riferirsi all’ambivalenza, all’ambiguità, con le quali tale autore abbia disegnato l’identità di Guastalla, le cui conseguenze tutt’oggi si scontano.
Tra ‘800 e ‘900 si spegne in Guastalla l’ampiezza di impegno e dibattito che aveva caratterizzato la ricerca storica nei secoli precedenti, e tanta parte dei pur numerosi contributi sono prodotti e pubblicati altrove, incentrati nella maggior parte sulla figura di Ferrante I, e si debbono frequentemente a scrittori che gravitano in altri ambiti culturali. Fa eccezione storiografica l’Amaduzzi, con la sua “Serie cronologica dei fatti più memorabili della storia di Guastalla”, del 1888.
Solo con gli anni Trenta del ‘900 vedranno la luce due opere, la “Storia di Guastalla” di Aldo Mossina, e la “Storia di Reggiolo” di Rufo Paralupi, che si reimmettono nella falsariga antica, e per tema generale trattato, e per il fatto di integrarsi con la fondazione dell’Associazione Guastallese di Storia Patria, quindi con una struttura organicamente votata alla ricerca.
Saranno tuttavia caratterizzate dalla forma molto compendiata la prima (e sarebbe da capirne la ragione, vista l’ampiezza documentaria affrontata dallo scrittore), e dallo spirito marcatamente anticlericale e massonico la seconda.
In ogni caso entrambe propongono l’ormai annoso tema della riscrittura, visto alla luce, questa volta, di un afflato risorgimentale che stava vivendo gli ultimi anni di sentita partecipazione.
Infine il secondo Dopoguerra, rappresentato in un quarantennio dagli esiti editoriali di tre convegni di studi, nei quali sono presenti saggi dalla qualità altalenante, dato che si scorre dall’approfondita ricerca documentaria all’esposizione di teorie quantomeno ‘curiose’, in ogni caso saggi solo relativamente legati dal vincolo di un filo conduttore condiviso.
L’oggi (ed il domani) della storiografia guastallese è rappresentato dalle coerenti e coordinate iniziative di A.G.S.P., ma su queste la valutazione spetterà alla critica e coscienza di chi seguirà.
 

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